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La cerniera lampo

Ho adottato la cerniera lampo come strumento espressivo, come simbolo o metafora della quotidianità.

La cerniera apre e chiude, come un lampo, avvia una corsa e si arena nel punto d’arrivo. Inizia e finisce, come il dialogo, la speranza, l’amore e la vita. Non solo: apre e svela, oppure serra e nasconde. La rivelazione favorisce la verità; la chiusura la simulazione, la negazione, il tradimento della sincerità. La cerniera, nel bene e nel male, appartiene alla vita quotidiana, a tutti noi, alle pagine, le più semplici oppure le più contorte, della nostra esistenza. La cerniera regge i nostri rapporti personali, consolida affetti e colloqui, solidarietà e amicizia, fiducia e futuro.  Si apre come orizzonte di immagini e si chiude come scrigno di silenzio, come lapide del passato. Si può tradurre nell’assolutezza di un’ idea, nella memoria, nella fantasia, nella coscienza e nell’interiorità. Si può persino pensare che la cerniera sia un ritratto, sociale, morale, del singolo e della sua anima. E’ una semplice cosa ma sono mille le pagine di lettura e in questo io ritrovo grande fascino. Ma al contempo, e al contrario, nasconde la realtà, rifiuta il colloquio, innalza un confine, una barriera, custodisce luoghi negati e allontana la prospettiva. 

Charlotte Ritzow

Concetto-Oggetto di Paolo Avanzi, 2008

Charlotte Ritzow è nata a Berlino il 05 marzo1971.

Dopo essere partita da un figurativo tradizionale, Charlotte Ritzow è approdata ad un figurativo-informale che è già di per sé un binomio quanto mai singolare, difficile da concettualizzare e ancor più da realizzare.

 Di lei hanno scritto con toni entusiastici critici del calibro di Alessio Calestani e Paolo Levi. Decine di sue opere sono state aggiudicate nelle principali case d’asta italiane.

L’artista è riuscita nell’impresa attingendo a un ricco bagaglio di energia, oltre che di tecnica, che le ha permesso di trascendere i limiti del singolo oggetto rappresentato. In effetti più che di un oggetto si tratta di un concetto-oggetto.

E proprio in questo sta la sua bravura: far emergere da un semplice elemento una miriade di allusioni e riflessioni che si amplificano fino a diventare un vero e proprio microcosmo.

Due i concetti-oggetti che monopolizzano la sua produzione, almeno quella più recente: la chiave e la cerniera.

Oggetti che esprimono un messaggio che include il proprio contrario: l’apertura e la chiusura.

Allusioni e illusioni appunto che concorrono ad affollare il quadro pittorico delineato con scarna ma precisa intelligenza.

Sulle cerniere il meccanismo che scatta è analogo.

In questo caso però, ad una atmosfera quasi sospesa e indefinita, subentra soprattutto il senso del confine.

La cerniera, che interseca la tela con inconsci richiami alle fenditure di Fontana, apre e chiude allo stesso tempo dei domini che, pur chiaramente definiti, non perdono affatto ai nostri occhi, anzi accrescono, la loro ineffabilità.

In che territori ci stiamo avventurando? Cosa stiamo lasciando? Qual è il futuro che ci aspetta? Sono queste le domande che suscita nell’osservatore la pittura di Charlotte Ritzow.Questioni che si impongono con la forza della semplicità di chi ha intrapreso il proprio cammino ben cosciente verso ciò che serve all’umanità.

Paolo Avanzi

 

Giù la maschera di Alessio Calestani, 2004

C’è molta raffinatezza nella pittura di Charlotte, c’è la raffinatezza che deriva lei dalla profondità che solo una donna può manifestare in ambito concettuale e non tanto perché gli uomini non sappiano esercitare profonde riflessioni, il punto è un’altro...  Raramente una donna si sofferma sulla grettezza di quanto sta osservando, sulla sua immediatezza, molto più frequentemente si arrovella davanti all’immagine oggetto della sua riflessione osservandola in maniera poliedrica, da molteplici punti di vista, alla ricerca di ciò che magari non esiste ma, che probabilmente, ben nascosto nelle pieghe dell’anima, trova un piccolo spazio, visibile solamente agli occhi di chi caparbiamente ha voluto cercare e... Trovare.

Così la Ritzow applica delle cerniere sulle sue tele che, dopo aver interrogato attraverso i suoi fondi compostamente realizzati attraverso campiture cromatiche ordinate nel loro disordine : gialle, nere, verdi ma, sempre, imponenti in termini visivi quasi lo sfondo fosse esso stesso protagonista nella costruzione dell’opera pittorica, come esso stesso volesse essere protagonista per distrarre il fruitore finale dalla porta che si sta aprendo attraverso quella, apre spalancando agli occhi del mondo il risultato della sua ricerca. Charlotte fa abbassare la maschera ai suoi soggetti, li costringe a toglierla ed a denudarsi rendendo pubbliche le loro emozioni, i loro tabù, i loro segreti ma, anche le loro paure. Così accade che una figura pudica ed ordinatamente abbigliata si spacchi in due a seguito dell’apertura di quella cerniera che pubblicamente apre una porta sulla sua anima e da dimostrazione dei suoi veri desideri, magari impronunciabili secondo i canoni del comune senso del pudore, e li sottopone allo sguardo impietoso del fruitore finale.

Oppure accade che un tenero bacio tra due poetici amanti si spacchi anch’esso, sempre a seguito dell’apertura di quella cerniera così volutamente invadente, per esibire la profonda solitudine che ci accompagna sin dalla nostra nascita per abbandonarci solamente quando ce ne andiamo.

 Charlotte non è il prototipo di artista innamorato della propria pittura perennemente in contemplazione dei propri esercizi di stile, è piuttosto una istigatrice, che per certi versi mi ricorda con le sue tele quell’impeto concettuale che era proprio di alcuni artisti romani, belli e maledetti, i quali, attraverso la loro pittura volevano andare contro. Sa dare una emozione intensa al fruitore finale, una emozione forte che lo scuote riportandolo alla realtà delle cose, inducendolo a calare quella maschera che, probabilmente, anche lui indossa ed è forse per questo è così emozionante osservare i suoi lavori, è forse per questo che a volte sono inquietanti, è forse per questo che sono così... Contemporanei.

Alessio Calestani

Il ritorno di Alice - di Paolo Levi, 1999

La vicenda artistica di Charlotte Ritzow ha data recente, ma desidero raccomandare di non cedere alla tentazione di leggere questi suoi lavori in un’ottica semplicistica. Quella legata al fatto che la pittrice sia di giovane età e, quindi, un’apprendista. 

Il suo esprimersi poetico, al contrario, affonda le radici in un mondo sperimentale appreso nel proprio Paese, la Germania, dove ha studiato ed approfondito appieno l’arte della tavolozza. 

Lavorando in Italia e mutando, così, le condizioni ambientali, ci si accorge che nei suoi lavori c’è un intrecciarsi di momenti colti, quelli che seguono, in modo dotto, i canoni del ‘mestiere’ rivolto alla bella pittura, e di momenti dalla dimensione magico-espressiva. 

Charlotte Ritzow è pittrice libera, europea. A livello di narrazione figurale non ha nostalgie nordiche, espressioniste. Tutt’al più sono lavori, i suoi, che presentano una felice consistenza dalla solarità del tutto mediterranea. 

La realizzazione di “Spiaggia”, porta alla ribalta il lavoro di una pittrice sapiente che sa coniugare il proprio pensiero narrativo con la gioiosità della materia. E’ un lavoro luminoso: la vela bianca all’orizzonte è segno-segnale di luce, che inonda la tela astrattamente, composta di variabili blu ed azzurre.

Per naturale temperamento contemplativo, questa giovane signora della tavolozza è incline, soprattutto, a un’arte di visione, figurativo-informale, con un senso intimo volto a ricordi, a sensazioni inconsce che tendono a decantarsi. C’è da immaginare che il primo ambiente formativo - quello a contatto con le aule scolastiche di pittura nel suo paese nativo - non abbia mutato affatto la sua tendenza a rispettare le proprie visioni oniriche ed essenziali, ad abbandonarsi ad esse tramite la bellezza della scrittura pittorica.

Charlotte Ritzow ha il dono di ottenere da ogni dipinto la massima chiarezza in una formulazione di significati che confermano una forte personalità creativa.E’ questo il caso del suggestivo dipinto “Tramonto”, dalla bellezza compositiva imperiosa. La nostra pittrice avverte gli analoghi temi eseguiti da Nicolas De Stael, esposti in permanenza al Castello di Antibes, e, certamente, sa porgere eguale sensibilità nel colore steso tramite lente campiture, con variabili nere, gialle, arancioni, in orizzontale.L’accento intimista risolve ed esalta questo suo senso di favola e di mito di un mondo costantemente trasfigurato. Ella dimostra sempre un lucido stato d’animo valendosi di colori allusivi, giocando di semplificazione. Le sue marine, dal vibrante cromatismo, sono singolari e, nel contempo, esprimono un animo interiormente contemplativo.

Confermano una ferma esigenza di esaltare al meglio la propria personalità immaginativa, come in “Solitudine”, dove una vela dal candido biancore – solitaria, appunto - pare monologare indifesa, tra onde gigantesche che solcano un mare blu, con toni luminescenti. Il largo seqno pittorico si. muove, felicemente, attraverso richiami di spazi che evocano una controllata carica emotiva. 

La giovane pittrice crede profondamente nella propria professione di narratrice di sentimenti astratti, volti a un invisibile che sulla tela si fa visibile.

La sua attuale fortuna di artista - e sono certo anche per il futuro - vive tramite una totale autonomia, rispetto alle correnti artistiche contemporanee della cosi chiamata ‘arte giovane’. Evita, infatti, l’arte mediale, l’art brut, il concettualismo.

Preferisce, invece, approdare, con fare garbato, verso un mondo assorto e lunare o semiastratto, in un’allusività liricamente figurativa. E’ questo il caso di “Luna galleggiante”, a mio avviso, una composizione tra le sue più significative, dove viene in luce la sapienza del colore come espressività linguistica : è un continuo giocare di toni e di controtoni, del giallo riflesso della luna che si sposa con variabili di blu turchino e di un nero e grigio antracite. Il cielo stellato è una lirica tavolozza di puntini bianchi che annunciano il silenzio della notte. Dinnanzi a questo lavoro, avvertiamo con quanti e quali travestimenti Si può presentare un proprio sogno. La Ritzow utilizza quelli dell’infanzia, bizzarri, stravaganti, che portano sempre con sé nodi di magiche attese e lunghi veli di malinconica felicità, come nel caso de “1I faro di Hiddensee”, in cui un’ampia atonale striscia, rosso naphtol carminata, sovrasta in basso un paesaggio di tinta verde scuro di Hooker. 

Pare che le sue indicazioni paesaggistiche, a volte, siano poeticamente vaghe, ammiccanti. Charlotte Ritzow è un po’ come i suoi quadri. Veleggia solitaria attraverso le proprie favole-mito e lo splendore caldo >dei colori, la precisione definitoria della partitura cromatica, che impedisce equivoci e confusioni.

Con la rappresentazione panteista della grande quercia, nella forte composizione intitolata “Energy”, l’immagine della natura pare trasfigurarsi inun’ espressività dalla forza fauve e vivere in un cerchio estraneo a quello del ‘vero’, del tangibile. Dobbiamo sottolineare che la Ritzow occupa un posto a parte sul palcoscenico pittorico delle giovani presenze europee. Ella è ugualmente distante dai voli irrazionali delle recenti avanguardie e dalle pigrizie di una figurazione che pare non abbia più voglia di narrare momenti di autentica poesia. Charlotte Ritzow è, al contrario, artista che difende sino all’eccesso il proprio modo di evocare il sogno-sognato, che sempre sa rinnova sulla tela. 

Il nostro occhio ha la possibilità di accedere a certe sue geniali libertà di improvvisazione ( v. “Il cigno”) e nel contempo di definizione formale di un incantato candore. Fa piacere che il suo giudizio su questo nostro tempo sia cosìdistaccato. Ogni composizione ne rifiuta gli aspetti drammatici, le ansietà, le angosce, facendo coincidere il mondo della sua fantasia con gli ideali di un sogno avveniristico, dove regnerà, auguriamocelo, un giorno la pace.

Vengono, a volte, incontro miraggi figurali della pittura museale di inizio ‘900 (v. “Il bacio”) che la Ritzow, inevitabilmente, porta con sé nel sangue, come linfa creatrice e rinnovatrice.

Il sogno che trasfigura la natura e la figura umana ( a volte, incubo evocato in leggera chiave ironica, penso a “La vendetta” ) eleva ulteriormente la sua narrazione come gioco squisitamente surreale, dalla mobilità figurale e dalla fissità emblematica. In effetti, le figure di donna rappresentate da Charlotte Ritzow, cosa simboleggiano, se non il vuoto dell’esistenza? Che cosa ne è di loro? Quando sono di scena - >nei suoi quadri - paiono figure in atteggiamento allarmante, che portano l’osservatore ad una sottile irritazione per le loro parvenze teatrali, grottesche.

In realtà, soprattutto, il mare, con il cielo azzurro, è il vero palcoscenico del suo mondo poetico. Charlotte è, in effetti, una sorta di Alice che veleggia felice nel Paese delle Meraviglie.

Il sogno-sognato anima la sua pagina pittorica che esprime silenzio,nel contempo, suono, sconfinando, ogni volta, sul piano dell’astrazione fiabesca. L’astrazione comunque, viene da lei materializzata, tramite un’allusività figurativa, dalla timbricità atonale, evocatrice di solarità. 

Si deve prestare attenzione a queste sue partiture cromatiche nette, dal segno orizzontale, deciso, geometrizzante, marcato. Ogni componimento, non dimentichiamolo, esprime gaiezza di situazioni che furono tipiche nei lavori di Nicholas de Stael e di visioni di lune tonde, di simboli di quella eterna infanzia che ne fu cantore Paul Klee. 

La Ritzow, e qui sta la sua maturità, porge più importanza, forse, alla cromìa che al soggetto che, solitamente, le sgorga felice dal cuore. Il suo gesto primario tende soprattutto al colore, come modulazione e spessore che si sparpaglia canoro lungo la superficie del quadro. La cromia atonale aggrega, così, alcuni precisi ed ampi tasselli di un mosaico caldo, suggestivo, di una fiaba magnificamente aperta, dove il nostro occhio spazia incantato, senza labirinti visivi.

 

Paolo Levi, 1999